Mentre una “storica” sentenza della Cassazione sancisce il principio che per l’assegno di mantenimento non conta più il tenore di vita precedente ma l’autosufficienza, i dati Istat e di un’indagine Demoskopea evidenziano come sia sempre più difficile sopravvivere dignitosamente dopo un divorzio o una separazione
“Come faccio a vivere con 500 mila euro?”. Chi ha ancora dubbi e perplessità sulla sentenza della settimana scorsa della Cassazione, che ha finalmente sancito il principio basilare che per l’assegno di mantenimento non conta più il tenore di vita precedente ma l’autosufficienza, dovrebbe leggere l’intervista con Lisa Lowestein, ex consorte di Vittorio Grilli (ministro dell’economia del governo Monti). Proprio il suo ricorso contro la sentenza della Corte di Appello di Milano, che le aveva negato l’assegno di divorzio, è all’origine del pronunciamento della Cassazione. Che si basa su un principio che dovrebbe essere scontato ma che, invece, abbiamo dovuto attendere il 2017 per vedere sancito dalla legge (anzi, dal sistema giudiziario).
“Il matrimonio non è una sistemazione economica definitiva ma è un atto di libertà e di autoresponsabilità”. “Si deve quindi ritenere – aggiungono i giudici della Cassazione – che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. Con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del `tenore di vita matrimoniale in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”.
Sulla base di tali motivazioni, si è reso necessario stabilire nuovi parametri per decidere in merito all’assegno di mantenimento. Che i giudici della suprema corte individuano nel raggiungimento o meno dell’indipendenza economica. “Se è accertato che è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo non deve essere riconosciuto tale diritto” scrivono i giudici. Che, poi, indicano nel “possesso di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, nella capacità e possibilità effettiva di lavoro personale e nella stabile disponibilità di un’abitazione” gli indici per valutare l’indipendenza economica di un ex coniuge. Come prevedibile la sentenza della Cassazione, che potrebbe rivoluzionare il diritto di famiglia, è stata accolta in maniera contrastante.
Purtroppo ormai nel nostro paese qualsiasi vicenda, qualsiasi argomento, viene ridotto ad uno scontro tra ultras, tra opposte fazioni. Così in questo caso una parte dell’opinione pubblica ha provato a mettere in scena un’improbabile, anacronistica e incomprensibile guerra tra maschi e femmine.“Finalmente finiranno le rendite parassitarie, l’era del posto fisso è alle spalle” esulta l’avvocato Marco Meliti, presidente dell’associazione italiana di diritto alla famiglia che sembra essere rimasto ai tempi del medioevo, legato all’idea che la maggior parte delle donne si sposa per “sistemarsi”.
“Così ora per la donna è tutto più difficile”, risponde l’avvocato Valentina Biagi vicepresidente dell’associazione “Diritto in Rosa” che, addirittura, nella pronuncia della Cassazione vede un’offesa nei confronti delle donne. “Che la Corte dica che il matrimonio non debba essere inteso come una sistemazione lo trovo abbastanza offensivo verso le donne, come pure il richiamo al matrimonio come scelta libera e responsabile mi sembra una frase infelice” afferma, interpretando quello che sembra essere un principio generale fissato dalla Cassazione come una velata accusa nei confronti delle donne (e in tal senso sembra quasi adeguarsi al concetto anacronistico dell’avvocato Mieli che ritiene che la maggior parte delle donne si sposa per “sistemarsi”…).
Come vedremo i dati e la realtà del nostro paese, per quanto riguarda i divorzi, dimostrano tutt’altro, evidenziano ben altro tipo di problemi. Quel che lascia basiti, però, è che si provi ad innestare un’improbabile guerra dei sessi su una pronuncia che da un lato appare difficilmente criticabile ma dall’altro in concreto finirà per incidere solo in numero assai limitato di casi, senza provocare chissà quali conseguenze disastrose. Basterebbe pensare, ad esempio, ad alcuni dei casi famosi più recenti, a partire dal divorzio tra Silvio Berlusconi e Veronica Lario a cui l’ex premier versa un assegno mensile di un milione e 400 mila euro (senza considerare i beni immobili di cui la stessa Lario può godere).
Questo, infatti, può essere preso come classico esempio di quel principio di “matrimonio come sistemazione economica definitiva” che finalmente la Cassazione ha deciso di cancellare. Le difficoltà per le donne divorziate (ma anche per gli uomini) di cui parla l’avvocato Biagi non verranno certo aumentate da questa pronuncia che non si occupa e non tocca minimamente i nodi più spinosi e le conseguenze più problematiche che derivano da un divorzio. Che sono state descritte in maniera lucida e perfetta da un film del 2012, “Gli equilibristi”, diretto da De Matteo e interpretato da Valerio Mastrandrea e Barbara Bobulova e vicnitore di due David di Donatello. Al di là dell’happy ending, che nella vita reale avviene purtroppo di rado, quel film è uno spaccato impietoso ma terribilmente rispondente alla realtà che fotografa in maniera lucida e implacabile quale sia oggi la situazione della maggioranza delle persone che affrontano un divorzio o una separazione.
Un’insormontabile difficoltà di sopravvivere dignitosamente che spinge sempre più coppie sposate a rimanere insieme, anche se il matrimonio e la loro unione di fatto è terminata. Sono gli effetti della crisi che non risparmiano neppure il matrimonio e che ora sono certificati in maniera inequivocabile anche dai dati. Quelli dell’Istat, ad esempio, ci dicono che nell’ultimo anno in Italia le separazioni sono state 93.690 e i divorzi 63.597, entrambi in netto calo rispetto agli anni precedenti. Calo che è ancora più marcato nelle Marche dove le separazioni sono diminuite del 9% e i divorzi addirittura del 12%.
Eppure negli ultimi anni sono state approvate leggi e decreti che in teoria avrebbero dovuto facilitare l’iter di separazioni e divorzi (la legge 55/2015 sul divorzio breve, il decreto legge 1322 del 12 settembre 2014 poi convertito nella legge 162/2014). Sono stati ridotti i tempi di attesa dalla separazione al divorzio, sono state inserite modalità inedite per gli accordi di separazione e di divorzio per alleggerire il carico dei tribunali civili ma anche per ridurre i costi che gravano sui due coniugi. Il fatto è che la diminuzione di separazioni e divorzi non è certo legata ai tempi lunghi (ed eventualmente ai costi) di tutto l’iter quanto alla difficile situazione economica che si rischia di vivere poi, dopo il divorzio o la separazione. E ,a conferma di ciò, arriva un’indagine effettuata dall’istituto di ricerca Demoskopea per comprendere come cambia la situazione economica dopo una separazione.
Il risultato che emerge è inequivocabile: il divorzio non solo peggiora le finanze ma, addirittura, rischia spesso di mettere sul lastrico uno o entrambi i coniugi. Al punto che il 50% dei separati o divorziati ammette di abitare ancora sotto il tetto coniugale, insieme all’ex partner, per necessità di tipo economiche. Tra i tanti dati che emergono dall’indagine, due risultato particolarmente emblematici. Il primo ci dice che oltre 60% dei separati o divorziati denuncia un consistente peggioramento della propria condizione economica. L’altro evidenzia come quasi il 50% di loro, proprio a causa di questo peggioramento, si è visto rifiutare la concessione di un nuovo prestito dalle banche.
Molto interessanti anche altri dati che emergono dall’analisi Demoskopea. In oltre il 30% dei casi (praticamente 1 su 3) è previsto un assegno mensile per il coniuge che, nel 98,4% dei casi, viene corrisposto dal marito. Nel 58,2% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,4% al marito mentre nel 18,4% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale. In media l’entità mensile dell’assegno parte dai 600 euro ma può salire anche ben oltre i mille euro in caso di presenza di figli. Sulla base di questi dati è chiaro ed evidente come il divorzio non sia alla portata di tutti. Ma anche che dal divorzio stesso sono spesso i mariti che ricavano le maggiori difficoltà economiche e rischiano di vedere stravolta la propria vita.
Naturalmente non tutto si può ridurre a numeri e dati. Che, ad esempio, non dicono come spesso per una donna diventi un’impresa ottenere dall’ex coniuge anche il minimo necessario per il sostentamento proprio e dei figli, come i controlli in questi casi sono troppo spesso a dir poco superficiali e permettono troppe volte di trovare artifici e scappatoie per evitare di pagare quanto dovuto. E che, ovviamente, non tengono conto di tanti aspetti che, invece, devono necessariamente essere considerati. Come, ad esempio, il fatto che ancora oggi ci sono tantissime donne che, dopo il matrimonio, lasciano il lavoro (ovviamente se possono farlo sulla base della situazione economica del marito) per crescere i figli. Sacrifici che non sempre vengono tenuti nella giusta considerazione quando, poi, ci si trova ad affrontare una separazione, un divorzio.
Però i fatti dimostrano altrettanto chiaramente che spesso in nome del legittimo principio di difendere la parte economicamente più debole (come detto nel 98,4% dei casi è l’uomo a corrispondere l’assegno mensile per il coniuge) si finisce per creare una particolare situazione nella quale le donne sono considerate portatrici esclusive di diritti consolidati e gli uomini portatori di soli doveri. Una situazione reale che determina un vero e proprio dramma silenzioso che porta padri separati e divorziati, di anno in anno, ad ingrossare le fila dei nuovi poveri. Addirittura secondo il Rapporto Caritas quasi uno su due dei “nuovi poveri” (oltre il 46% dei casi) è rappresentato da padri separati o divorziati.
Centinaia e centinaia di uomini che, per pagare l’assegno mensile all’ex moglie (e ai figli), non riescono più a garantirsi un tenore di vita quanto meno dignitoso e spesso finiscono addirittura a vivere e dormire in un auto, ridotti al livello di un clochard. E questo, naturalmente, determina anche un grave deterioramento dei rapporti con i figli e uno stato di crescente depressione che può portare anche a gesti estremi. Le associazioni nate a supporto dei padri separati (tra cui l’Associazione Padri Separati che ha sedi in tutt’Italia, tra cui 3 nelle Marche dislocate ad Ancona, Pesaro ed Ascoli) sostengono che ogni anno sono centinaia quelli che si suicidano. Magari quelli sbandierati dall’Associazione saranno anche numeri esagerati, la conferma e l’ufficialità di questo dato in realtà non c’è.
Però c’è la certezza che la situazione che molti di loro vivono è esattamente quella descritta nel film “Gli equilibristi”, con la differenza, non da poco, che nella vita reale quasi mai poi c’è il lieto fine. Allora, mettendo da parte un’anacronistica e inutile guerra dei sessi, è arrivato il momento che si inizi a considerare tutti gli aspetti sopra citati quando ci si trova a dover discutere di una separazione, di un divorzio. In questo senso è, quindi, sicuramente positiva la sentenza della Cassazione. A patto che non ci si fermi dietro quella dichiarazione di principio.