Proprio mentre il Comune si appresta a festeggiare, con la solita enfasi, la settimana della famiglia, lo sconcertante caso del pignoramento nei confronti di una donna disoccupata e separata che non riesce a pagare la mensa scolastica per la figlia fa emergere grossi dubbi sulle politiche “familiari” dell’amministrazione comunale
Abbiamo aspettato qualche giorno, nella vana speranza che dal Comune arrivasse una smentita, che sindaco e assessori ci dceissero che non era vero niente, che si era trattato di un equivoco. Invece dobbiamo rassegnarci all’idea che quanto riportato dagli organi di informazione nei giorni scorsi è tutto vero. Stiamo parlando dello sconcertante caso del pignoramento, da parte del Comune, del mobilio (divano compreso) nei confronti di una donna disoccupata e separata che non ce la fa a pagare la mensa scolastica per la figlia.
Da quanto emerge la donna avrebbe accumulato un debito di circa 500 euro nei confronti dell’amministrazione comunale. E la società incaricata dal Comune di recuperare le somme non versate (l’Abaco) ha attivato l’ufficiale giudiziario che ha pignorato divani e lampadari alla povera mamma.
“Vergogna, questo è un fatto davvero ignobile – accusa il consigliere comunale Giancarlo Luciani Castiglia – la cieca applicazione della legge in questi casi genera solo indignazione. Una persona separata e disoccupata non può vedersi pignorare i mobili per 500 euro di debiti verso il Comune. Qualcosa non va, chiederemo subito informazioni per capire se e come sia stato possibile”.
Come è possibile è molto semplice comprenderlo. C’è un’amministrazione comunale che, come abbiamo visto (vedi articolo “Il paradiso degli evasori”), da un lato non è neppure capace di incassare quanto dovuto da tasse e servizi e dall’altro (come vedremo meglio in seguito) si riempie la bocca di slogan e di buoni propositi, sottolineando l’importanza della famiglia come nucleo centrale della nostra società, ma poi in concreto non fa nulla per trasformare le buone intenzioni in fatti. Anzi, si comporta esattamente al contrario, infischiandosene delle famiglie ascolane e sfruttandole il più possibile per fare cassa.
La miscela di queste due situazioni finisce quasi inevitabilmente per produrre vergognose distorsioni come, appunto, quella venuta alla luce in questi giorni. Da un lato l’amministrazione comunale non si preoccupa di attuare una politica fiscale e tariffaria che tenga conto delle esigenze di quelle famiglie che sono in difficoltà, tanto che per un servizio come le mense scolastiche (a differenza di quanto accade in molti altri comuni marchigiani) prevede una soglia di esenzione davvero molto bassa (solo fino a 4 mila euro di reddito Isee). Dall’altro l’incapacità dell’amministrazione stessa di incassare concretamente tasse e tariffe dei servizi ha spinto il Comune ad affidare alla Abaco Spa (“progetta ed eroga prestazioni professionali e servizi in materia di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali, di altre entrate degli Enti Locali ed altre attività connesse e complementari” si legge nel sito della società), con determina n. 149 del 5 febbraio 2016, il servizio di riscossione coattiva mediante ingiunzione fiscale di entrate comunali.
Quanto questa operazione stia dando risultati concreti è tutto da stabilire. Anzi, a vedere gli atti relativi proprio al servizio mense scolastiche sorge più di qualche dubbio. Infatti, sulla base di quanto viene riportato nel documento istruttorio allegato alla determina n. 356 del 17 marzo scorso, emerge che “l’elenco dei crediti mense scolastiche è costituito da 153 titoli per complessivi 106.775,94 euro”. La stessa determina ci dice anche che l’Abaco ha sottoscritto la convenzione ed ha iniziato ad operare dal marzo scorso. Non sappiamo per quanto riguarda gli altri tributi quali sia la situazione. Certo è che con il recupero dei crediti mense scolastiche le cose non stanno certo funzionando al meglio, almeno a quanto risulta dagli atti ufficiali del Comune.
Dai quali emerge che al momento di quei 106.775,94 euro ne sono stati recuperati poco meno di 6 mila (5.943,96 euro per l’esattezza), vale a dire poco meno del 6%. Al momento, quindi, stando agli atti ufficiali del Comune non si può certo dire che questa operazione sta portando chissà quali frutti. Però, in compenso, genera certe inaccettabili situazioni come, appunto, quella che ha colpito e coinvolto quella donna separata e in difficoltà. Il tutto nell’imbarazzato e imbarazzante silenzio dell’amministrazione comunale. Che, pure, ha al suo interno un assessore apposito per le politiche familiari (il vicesindaco Donatella Ferretti), che però si è guardata bene dall’intervenire, dal far sentire la propria voce. Eppure a parole, con slogan e proclami, sindaco e assessori sembrano davvero interessati a tutelare la famiglia.
Da giorni, ad esempio, con un post sulla pagina facebook comunale e con un’accattivante locandina ci ricordano che dal 28 maggio al 4 giugno è la settimana della famiglia e che l’amministrazione stessa si appresta a festeggiarla nel giusto modo. “Naturalmente Famiglia- L’uomo custode del teatro” è il titolo scelto per questo importante appuntamento che prevede convegni, spettacoli, teatro, workshop, megagiochi, artisti di strada, dibattiti e persino un “mamma day”. E, come avviene ogni anno, siamo già pronti a leggere comunicati stampa e post del Comune che esaltano il valore della famiglia (bene inteso, quella tradizionale e “naturale”), che ci ricordano come per sindaco e assessori la famiglia sia il vero fulcro della nostra società. Gran belle parole, quasi commoventi. Però, poi, in concreto come si traducono in fatti simili buone intenzioni? Cosa fa in concreto l’amministrazione comunale per tutelare e aiutare la famiglia? Poco o nulla, anzi, i fatti sembrano dimostrare l’esatto contrario.
In concreto l’unico intervento che si ricorda è quello legato alla legge regionale 30/98 per il sostegno alle famiglie che prevede contributi (grazie al finanziamento da parte della Regione e la compartecipazione con una quota pari al 20% da parte del Comune) per il superamento di situazioni di disagio sociale, a sostegno della nascita o adozione figli, per il pagamento di polizze assicurative per la copertura dei rischi infortunistici domestici. Si potrebbe, a tal proposito, sottolineare anche che altri Comuni, proprio per dare sostegno ad un numero maggiore di famiglie, negli anni hanno deciso di aumentare la percentuale di compartecipazione.
Probabilmente sarebbe troppo chiedere un simile impegno anche a questa amministrazione comunale che in questi anni ha sempre dimostrato con i fatti che quello per la famiglia è un interesse meramente di facciata, esclusivamente propagandistico. Infatti quando poi si tratta di dimostrarlo in concreto, mettendo a disposizione delle famiglie stesse servizi accessibili (soprattutto da un punto di vista economico) a tutti, avviene esattamente il contrario. La famiglia diventa qualcosa da “spremere”, con cui fare cassa, con tanti saluti a quelle famiglie che vivono situazioni di difficoltà e, di conseguenza, rischiano di non poter accedere a determinati servizi. Abbiamo già visto cosa accade con le mense scolastiche (tra l’altro l’alto numero di crediti vantati dal Comune forse dovrebbe indurre un attimo a riflettere).
Ma la situazione non è certo migliore per quanto riguarda altri servizi fondamentali per le famiglie. Come, ad esempio, gli asili. Come abbiamo avuto già modo di evidenziare in passato (vedi articolo “Chiedo asilo”), un’indagine di Cittadinanzattiva ha svelato come nelle Marche proprio ad Ascoli e Pesaro ci sono le tariffe più elevate (mentre a Macerata e ad Urbino quelle più basse). Quell’indagine, in realtà, prendeva come riferimento le rette applicate al servizio per la frequenza a tempo pieno per 5 giorni alla settimana per una famiglia con reddito isee sotto i 20 mila euro. E, come detto, Ascoli e Pesaro sono risultate le città marchigiane con le tariffe più care, rispettivamente con 318 e 325 euro mensili, addirittura superiori alla media nazionale (310).
Quel che è peggio, però, è che la situazione è di gran lunga più sconcertante se si prendono a riferimento i redditi più bassi. Infatti, mentre negli altri comuni sono previste particolari agevolazioni, fino anche al servizio gratuito per chi è in maggiori difficoltà, ad Ascoli anche per i redditi più bassi le tariffe delle rette mensili non sono certo abbordabili, anzi, sono praticamente impraticabili. Per chi ha un reddito isee da 0 a 4.500 euro, ad esempio, la tariffa mensile è di ben 94 euro, mentre a partire da 4501 si passa addirittura a 162,70 euro, fino ad arrivare già a 202 euro dai 7.230 euro. Praticamente servizio “off limits” per chi ha redditi così bassi… Ad Ancona, invece, fino a reddito isee di 5 mila euro il servizio è addirittura gratuito, mentre a partire da 7.500 euro di reddito la tariffa sale a 112 euro (90 euro in meno al mese, quasi mille euro in meno in un anno rispetto ad Ascoli…).
Servizio gratuito fino ad una certa fascia di reddito isee (4.500 -6.000 euro) anche in altri comuni marchigiani (Fano, Senigallia, Fabriano), mentre a Pesaro fino ai 7.500 euro di reddito isee le tariffe oscillano tra i 30 e i 45 euro. Al di là del reddito, a prescindere che si trovi in una situazione tranquilla o di disagio, per l’amministrazione comunale la famiglia più che da tutelare è da “spennare”. C’è un altro dato che conferma questa tendenza, pur se da prendere con le dovute e necessarie cautele che servono quando si parla di questo genere di dati. In media le tasse comunali (imu, tari, irpef, tasi) pesano su una famiglia tipo ascolana (4 persone) per circa 2.700 euro all’anno, qualche centinaio di euro in più rispetto ai principali comuni marchigiani.
E, come abbiamo visto, a fronte di un simile peso fiscale sono assolutamente scarsi ed insufficienti i servizi che le famiglie ascolane ricevono dall’amministrazione comunale. Che non può certo pensare che siano sufficienti le iniziative che metterà in campo dal 28 maggio al 4 giugno per convincerci che davvero la tutela e la salvaguardia della famiglia sia una sua priorità…