“Se­que­stri” di Sta­to: l’in­fan­zia “ru­ba­ta”


La vi­cen­da dei “ge­ni­to­ri non­ni” di To­ri­no riac­cen­de il di­bat­ti­to su­gli al­lon­ta­na­men­ti dei mi­no­ri dal­la pro­pria fa­mi­glia d’o­ri­gi­ne e del­le nor­me trop­po va­ghe e ge­ne­ri­che che pro­du­co­no del­le vere e pro­prie be­stia­li­tà. E che fi­ni­sco­no per ali­men­ta­re una sor­ta di “bu­si­ness” da ol­tre 500 mi­lio­ni di euro al­l’an­no

La Cas­sa­zio­ne lo ha ri­ba­di­to con una sen­ten­za  del giu­gno scor­so: la leg­ge non pre­ve­de li­mi­ti di età per chi in­ten­de met­te­re al mon­do dei fi­gli. In quel­la stes­sa pro­nun­cia era sta­to  sta­bi­li­to con as­so­lu­ta cer­tez­za  che quel­la cop­pia di To­ri­no pro­mo­tri­ce del ri­cor­so, da un pun­to di vi­sta ge­ni­to­ria­le, era da con­si­de­ra­re del tut­to ca­pa­ce, sot­to­li­nean­do an­che che era sta­ta sca­gio­na­ta dal­l’ac­cu­sa di ab­ban­do­no di mi­no­re. Però Lui­gi e Ga­briel­la, quel­li che l’in­for­ma­zio­ne ha ri­bat­tez­za­to come i “ge­ni­to­ri non­ni”, da al­cu­ni gior­ni han­no do­vu­to de­fi­ni­ti­va­men­te ras­se­gnar­si (am­mes­so che sia pos­si­bi­le…) a non riab­brac­cia­re più la pro­pria bim­ba.

La Cor­te di Ap­pel­lo di To­ri­no ha, in­fat­ti con­fer­ma­to l’a­dot­ta­bi­li­tà del­la loro bam­bi­na (di  qua­si 7 anni) che, quin­di, re­sta nel­la fa­mi­glia che l’ha adot­ta­ta. I giu­di­ci han­no ac­col­to la tesi del cu­ra­to­re spe­cia­le se­con­do cui la pic­co­la non può es­se­re re­sti­tui­ta alla sua fa­mi­glia na­tu­ra­le per­ché or­mai l’ab­ban­do­no fa par­te del­la sua sto­ria, an­che se non è cer­to col­pa del­la cop­pia, e per lei po­treb­be es­se­re trau­ma­ti­co tor­na­re nel­la fa­mi­glia di ori­gi­ne. In al­tre pa­ro­le lo Sta­to, in que­sto caso il suo si­ste­ma giu­di­zia­rio, dice ai due “ge­ni­to­ri non­ni”: “scu­sa­te, ci sia­mo sba­glia­ti, per la leg­ge sie­te dei ge­ni­to­ri più che de­gni, non ave­te com­mes­so nul­la di quel­lo che vi era sta­to im­pu­ta­to, però scon­ta­te ugual­men­te la pena, sen­za al­cu­no scon­to”.

Sie­te as­sa­li­ti da un sen­so di di­sgu­sto? Vi ver­go­gna­te di vi­ve­re in un pae­se si­mi­le? Ave­te per­fet­ta­men­te ra­gio­ne, se non fos­se già mor­ta da tem­po (uc­ci­sa e umi­lia­ta più e più vol­te), ver­reb­be da dire che que­sta vi­cen­da se­gna la mor­te del­la giu­sti­zia nel no­stro pae­se. Non ci sono pa­ro­le per de­fi­ni­re una si­mi­le scon­cez­za, anzi, for­se il modo giu­sto è quel­lo co­nia­to qual­che anno fa dal­l’av­vo­ca­to di­fen­so­re di un’al­tra cop­pia di ge­ni­to­ri che si vi­de­ro por­ta­re via sen­za mo­ti­va­zio­ni con­cre­te il pro­prio  bim­bo: se­que­stro di Sta­to. D’al­tra par­te, met­ten­do­si nei pan­ni di que­gli e di al­tri ge­ni­to­ri che han­no su­bi­to que­sta ver­go­gna, come si po­treb­be de­fi­ni­re in al­tro modo la de­ci­sio­ne di im­pe­rio di to­glier­gli i fi­gli sen­za una mo­ti­va­zio­ne dav­ve­ro va­li­da, ad­di­rit­tu­ra in al­cu­ni casi am­met­ten­do poi il cla­mo­ro­so er­ro­re (sen­za però tor­na­re in­die­tro)?

Ma que­sto è so­la­men­te il pun­to di vi­sta dei ge­ni­to­ri che su­bi­sco­no una si­mi­le scia­gu­ra. Poi ci sono i bam­bi­ni che al­l’im­prov­vi­so, spes­so an­che in ma­nie­ra trau­ma­ti­ca, si ve­do­no strap­pa­ti via dal­la pro­pria casa, dal­la pro­pria fa­mi­glia, dal pro­prio papà e dal­la pro­pria mam­ma per ri­tro­var­si in isti­tu­to, in una co­mu­ni­tà (o casa fa­mi­glia che dir si vo­glia) op­pu­re in una nuo­va fa­mi­glia. Si può an­che lon­ta­na­men­te im­ma­gi­na­re il trau­ma che su­bi­sco­no quei bam­bi­ni a cui lo Sta­to (quan­do non ci sono mo­ti­va­zio­ni dav­ve­ro va­li­de per un si­mi­le prov­ve­di­men­to) ruba l’in­fan­zia, con­dan­nan­do­li a su­bi­re le pe­san­ti con­se­guen­ze di quel­la de­ci­sio­ne per il re­sto del­la pro­pria vita. Ad onor del vero bi­so­gna dire che nel caso del­la vi­cen­da pie­mon­te­se la bim­ba è sta­ta por­ta­ta via da casa che ave­va po­chi mesi e, quin­di, da que­sto pun­to di vi­sta il trau­ma per lei è sta­to si­cu­ra­men­te mi­no­re.

Ma è dav­ve­ro sin­go­la­re il fat­to che di­ver­si anni fa, in una si­tua­zio­ne per cer­ti ver­si ana­lo­ga, la giu­sti­zia ita­lia­na ave­va fis­sa­to e san­ci­to un prin­ci­pio esat­ta­men­te op­po­sto a quel­lo af­fer­ma­to ora. Al­lo­ra, di fron­te ad un’a­do­zio­ne che si fon­da­va su un pre­sup­po­sto sba­glia­to ma che ave­va re­ga­la­to alla bim­ba adot­ta­ta una si­tua­zio­ne fa­mi­lia­re fi­nal­men­te po­si­ti­va per lei, i giu­di­ci san­ci­ro­no che nul­la con­ta­va più del ri­spet­to del­la leg­ge, nep­pu­re il be­nes­se­re del­la bam­bi­na. Ora lo stes­so si­ste­ma giu­di­zia­rio ita­lia­no san­ci­sce il prin­ci­pio esat­ta­men­te op­po­sto, cioè che il ri­spet­to del­la leg­ge non con­ta nul­la di fron­te al pre­sun­to be­nes­se­re del­la bam­bi­na.  Quel­lo che è va­li­do e in­di­scu­ti­bi­le oggi per la giu­sti­zia ita­lia­na po­treb­be non es­ser­lo più do­ma­ni. Ma la­scia­mo per­de­re e non sof­fer­mia­mo­ci sui tan­ti pa­ra­dos­si del­la no­stra giu­sti­zia, non sco­pria­mo cer­to oggi che il si­ste­ma giu­di­zia­rio fa ac­qua da tut­te la par­ti.

Ci in­te­res­sa, in­ve­ce, sot­to­li­nea­re che quel­lo di To­ri­no non è cer­to un caso iso­la­to, che il dram­ma che stan­no vi­ven­do quei ge­ni­to­ri è pur­trop­po co­mu­ne a tan­te al­tre mam­me, papà e a trop­pi bam­bi­ni nel no­stro pae­se. Si per­ché fino agli ini­zi de­gli anni ’90 i casi di sot­tra­zio­ne di mi­no­ri ai le­git­ti­mi ge­ni­to­ri era­no ra­ris­si­mi, per leg­ge ciò po­te­va ac­ca­de­re solo in caso di vio­len­ze o abu­si gra­vi. Poi lo Sta­to è en­tra­to  “a gam­ba tesa”, va­ran­do nuo­ve nor­me (ma­ga­ri an­che con il no­bi­le fine di tu­te­la­re mag­gior­men­te i mi­no­ri) che la­scia­no un am­pio, si­cu­ra­men­te ec­ces­si­vo, spa­zio d’in­ter­ven­to non solo in si­tua­zio­ni dif­fi­ci­li (ma non estre­me) ma an­che quan­do in real­tà non sem­bra nep­pu­re esi­ste­re una con­di­zio­ne di di­sa­gio.

Se­con­do la leg­ge ita­lia­na (184/​1983, 149/​2001) il mi­no­re può es­se­re al­lon­ta­na­to dal­la fa­mi­glia non più so­la­men­te in pre­sen­za di ac­cer­ta­te vio­len­ze e abu­si ma an­che quan­do si tro­va in una si­tua­zio­ne di “pri­va­zio­ne di as­si­sten­za ma­te­ria­le e mo­ra­le se­ria e ir­re­ver­si­bi­le”. Una de­fi­ni­zio­ne così ge­ne­ri­ca che ha pro­dot­to del­le vere e pro­prio “be­stia­li­tà” ed un’e­stre­miz­za­zio­ne del­la pro­ce­du­ra. Così da anni nel no­stro pae­se può ac­ca­de­re che un fi­glio ven­ga tol­to ai ge­ni­to­ri na­tu­ra­li an­che se il bam­bi­no ha dif­fi­col­tà a so­cia­liz­za­re, se è trop­po gras­so o trop­po ma­gro, se la casa è con­si­de­ra­ta spor­ca (cla­mo­ro­so in pro­po­si­to il caso rac­con­ta­to da “Le iene” qual­che mese fa), se si ri­tie­ne che viva in un am­bien­te non ido­neo da un pun­to di vi­sta non solo igie­ni­co, se ha pro­ble­mi par­ti­co­la­ri a scuo­la, se tra­scor­re trop­po tem­po da­van­ti a tv e vi­deo­gio­chi.

Ad­di­rit­tu­ra la leg­ge pre­ve­de l’al­lon­ta­na­men­to del mi­no­re dal pro­prio nu­cleo fa­mi­lia­re an­che in caso di gra­vi pro­ble­mi eco­no­mi­ci. Una sor­ta di ac­ca­ni­men­to sa­di­co (per non dire per­ver­so) nei con­fron­ti di chi (una fa­mi­glia in dif­fi­col­tà) an­dreb­be aiu­ta­to e non cer­to pri­va­to dei pro­pri af­fet­ti più cari. La con­fer­ma di que­sta al­lu­ci­nan­te si­tua­zio­ne ar­ri­va dai dati for­ni­ti dal Coor­di­na­men­to Na­zio­na­le Co­mu­ni­tà di Ac­co­glien­za (CNCA) se­con­do cui nel 37% dei casi di al­lon­ta­na­men­to dal­la fa­mi­glia si se­gna­la, tra le mo­ti­va­zio­ni, un pro­ble­ma di na­tu­ra ma­te­ria­le-eco­no­mi­co. Nel 45% dei casi, in­ve­ce, ci sono pro­ble­mi di re­la­zio­ni al­l’in­ter­no del­la fa­mi­glia e di ina­de­gua­tez­za ge­ni­to­ria­le, de­fi­ni­zio­ni trop­po ge­ne­ri­che e che la­scia­no trop­po spa­zio al­l’in­ter­pre­ta­zio­ne dei sin­go­li ope­ra­to­ri. Ap­pe­na nel 12% dei casi, in­ve­ce, si par­la di mal­trat­ta­men­ti, abu­si, vio­len­ze. In un si­mi­le con­te­sto non stu­pi­sce, quin­di, che spes­so si ge­ne­ri­no del­le vere e pro­prie mo­struo­si­tà.

Solo po­chi mesi fa, ad esem­pio, un uomo di 44 anni si è dato fuo­co da­van­ti al tri­bu­na­le di Ca­glia­ri per­ché gli ave­va­no tol­to la pa­tria po­te­stà dei fi­gli di 9, 10 e 12 anni per­ché trop­po po­ve­ro per cre­scer­li. Lo Sta­to non rie­sce a ga­ran­ti­re il la­vo­ro e una vita de­co­ro­sa ai suoi cit­ta­di­ni e, non pago, li con­dan­na a mor­te (per­ché to­glie­re un fi­glio ai ge­ni­to­ri equi­va­le ad una con­dan­na a mor­te, per i ge­ni­to­ri ma an­che per i fi­gli stes­si). Non meno ecla­tan­te il caso ac­ca­du­to nei mesi scor­si a Pa­do­va, dove un ado­le­scen­te è sta­to por­ta­to via di casa a cau­sa dei suoi at­teg­gia­men­ti trop­po ef­fe­mi­na­ti, se­con­do la Pro­cu­ra at­tri­bui­bi­li al com­por­ta­men­to del­la ma­dre e al fat­to che il ra­gaz­zi­no vi­ve­va in­sie­me alle so­rel­le. Sem­bra im­pos­si­bi­le da cre­de­re, ma per la leg­ge ita­lia­na ad­di­rit­tu­ra si pos­so­no sot­trar­re i fi­gli ai le­git­ti­mi ge­ni­to­ri an­che per “ec­ces­so di cure”.

E’ ac­ca­du­to lo scor­so anno ad una fa­mi­glia di Go­ri­zia (lui me­di­co lei ca­sa­lin­ga) a cui sono sta­ti tol­ti i fi­gli (uno alle ele­men­ta­ri, l’al­tro alle me­die) per mal­trat­ta­men­ti. Si per­ché quel­lo che i Ser­vi­zi So­cia­li han­no de­fi­ni­to “ec­ces­so di cure”, per la Pro­cu­ra si è tra­sfor­ma­to in una sor­ta di mal­trat­ta­men­to dei ge­ni­to­ri nei con­fron­ti dei fi­gli. La vi­cen­da è dav­ve­ro sur­rea­le, i due bam­bi­ni sono en­tram­bi af­fet­ti da una ra­ris­si­ma pa­to­lo­gia ge­ne­ti­ca, cer­ti­fi­ca­ta non solo da di­ver­si spe­cia­li­sti ma an­che dal Be­sta di Mi­la­no e dal Cen­tro re­gio­na­le per le ma­lat­tie rare di Udi­ne. I ge­ni­to­ri sot­to­pon­go­no i due bam­bi­ni a cure par­ti­co­la­ri, se­con­do quan­to pre­scrit­to da­gli esper­ti ed ero­ga­te dal­lo stes­so ospe­da­le cit­ta­di­no. Com­met­to­no, però, il gra­vis­si­mo er­ro­re (al­me­no vi­sta come si è poi evo­lu­ta la vi­cen­da) di ri­vol­ger­si ai Ser­vi­zi So­cia­li per chie­de­re un mag­gio­re aiu­to.

In­ve­ce del sup­por­to ri­chie­sto tro­va­no un at­teg­gia­men­to as­so­lu­ta­men­te dif­fi­den­te, na­sco­no dei for­ti dis­si­di con i Ser­vi­zi So­cia­li stes­si che espri­mo­no for­ti per­ples­si­tà sul­le con­di­zio­ni di sa­lu­te dei bam­bi­ni, con ad­di­rit­tu­ra il so­spet­to che sia­no i ge­ni­to­ri stes­si a cau­sa­re quel­la par­ti­co­la­re “pa­to­lo­gia” ai pro­pri fi­gli. Ci sono re­la­zio­ni di pro­fes­sio­ni­sti, di cen­tri esper­ti in ma­lat­tie rare, c’è la cer­ti­fi­ca­zio­ne del­la Com­mis­sio­ne me­di­ca per l’in­va­li­di­tà che non la­scia­no dub­bi, si trat­ta di una pa­to­lo­gia rara ma ge­ne­ti­ca. Nul­la ser­ve a con­vin­ce­re i Ser­vi­zi So­cia­li e la Pro­cu­ra che, sol­le­ci­ta­ta da­gli stes­si, av­via un’in­da­gi­ne. Ini­zia per i due ge­ni­to­ri un in­ter­mi­na­bi­le cal­va­rio, tra udien­ze, pe­ri­zie, in­chie­ste, ac­cu­se in­fa­man­ti e as­so­lu­ta­men­te in­fon­da­te. I loro te­le­fo­ni ven­go­no mes­si sot­to con­trol­lo, come se fos­se­ro due de­lin­quen­ti. E pro­prio un’in­ter­cet­ta­zio­ne fa pre­ci­pi­ta­re tut­to. Vie­ne, in­fat­ti, ascol­ta­ta la ma­dre che, nel cor­so di una con­ver­sa­zio­ne te­le­fo­ni­ca, dice al ma­ri­to di es­se­re esa­spe­ra­ta, che non ce la fa più, che pri­ma o poi com­met­te­rà una paz­zia.

Quel­lo sfo­go (quan­te vol­te a qual­cu­no di noi in un pe­rio­do di par­ti­co­la­re stress, sarà scap­pa­ta un’e­spres­sio­ne si­mi­le?) è suf­fi­cien­te per far scat­ta­re il bli­tz. Un paio di gior­ni dopo si pre­sen­ta­no nel­la casa di quel­la fa­mi­glia i ca­ra­bi­nie­ri che let­te­ral­men­te tra­sci­na­no via i due bam­bi­ni, por­tan­do­li in una casa fa­mi­glia. Da al­lo­ra per quei ge­ni­to­ri è ini­zia­ta la bat­ta­glia per ri­por­tar­li a casa, in un pro­ce­di­men­to che da una par­te vede de­ci­ne e de­ci­ne di cer­ti­fi­ca­ti me­di­ci, di pe­ri­zie di esper­ti che con­fer­ma­no l’o­ri­gi­ne ge­ne­ti­ca del­la pa­to­lo­gia (e le con­se­guen­ti ne­ces­sa­rie cure, a cui per al­tro i due bam­bi­ni con­ti­nua­no a sot­to­por­si an­che nel­la casa fa­mi­glia), dal­l’al­tra la re­la­zio­ne dei Ser­vi­zi So­cia­li, cor­re­da­ta dal pa­re­re di un neu­ro­psi­chia­tra che espri­me i dub­bi sul­la ma­lat­tia stes­sa. Un caso dav­ve­ro sur­rea­le e pa­ra­dos­sa­le, che me­glio di ogni al­tro te­sti­mo­nia i gua­sti pro­dot­ti da que­sto inac­cet­ta­bi­le si­ste­ma.

Al di là del­le ra­gio­ni e del­le mo­ti­va­zio­ni che ci pos­so­no es­se­re die­tro vi­cen­de  co­mun­que com­ples­se, quei casi do­vreb­be­ro far ri­flet­te­re pro­fon­da­men­te giu­di­ci, le­gi­sla­to­ri e as­si­sten­ti so­cia­li. Per­ché per leg­ge i mi­no­ri  non han­no l’op­por­tu­ni­tà di pren­de­re de­ter­mi­na­te de­ci­sio­ni au­to­no­ma­men­te. Ci sono gli adul­ti, che sia­no i ge­ni­to­ri, i tu­to­ri o un giu­di­ce, a de­ci­de­re cosa è bene e cosa no per loro, mol­to spes­so sen­za mi­ni­ma­men­te pre­oc­cu­par­si di quel­lo che pen­sa­no e che pro­va­no. Però, poi, ca­pi­ta qua­si sem­pre che cer­te de­ci­sio­ni, ma­ga­ri pre­se per il “bene” dei mi­no­ri, alla fine ri­schia­no co­mun­que di pro­vo­ca­re trau­mi in­sop­por­ta­bi­li e in­su­pe­ra­bi­li per i bam­bi­ni stes­si.

Per va­rie ra­gio­ni ho se­gui­to ne­gli anni pas­sa­ti al­cu­ni casi di bam­bi­ni al­lon­ta­na­ti, per mo­ti­vi a dir poco di­scu­ti­bi­li, dal­la pro­pria fa­mi­glia di ori­gi­ne e ho po­tu­to ve­de­re da vi­ci­no il ter­ri­bi­le dram­ma che han­no vis­su­to quei po­ve­ri bim­bi (sen­za pen­sa­re allo stra­zio che han­no do­vu­to sop­por­ta­re i ri­spet­ti­vi ge­ni­to­ri). Ri­cor­do an­co­ra, ad esem­pio, il caso di un ra­gaz­zi­no fer­ma­no por­ta­to via, in­sie­me alla so­rel­li­na, da casa, da due ge­ni­to­ri co­mun­que mol­to af­fet­tuo­si e pre­mu­ro­si, per mo­ti­va­zio­ni mol­to con­fu­se (tra cui an­che quel­le eco­no­mi­che). Ri­cor­do il suo stra­zio, la sua di­spe­ra­zio­ne, il suo gra­ve di­sa­gio che, poi, si ri­per­cuo­te­va sul­la sua sa­lu­te fi­si­ca (più vol­te è fi­ni­to in ospe­da­le). Qua­le giu­di­ce, qua­le as­si­sten­te so­cia­le, di fron­te ad una si­mi­le evi­den­za, avreb­be po­tu­to mai con­ti­nua­re a so­ste­ne­re che, in quel modo, si sta­va fa­cen­do il bene del mi­no­re? Quel bam­bi­no poi, dopo un cal­va­rio lun­go 2 anni, è tor­na­to in­sie­me alla so­rel­la dai suoi ge­ni­to­ri. Ha ri­pre­so a vi­ve­re la sua in­fan­zia fe­li­ce e nor­ma­le ma non più se­re­na per­ché la fe­ri­ta di quei mesi, per lui or­ri­bi­li, lon­ta­ni da casa mol­to a fa­ti­ca si po­trà ri­mar­gi­na­re.

C’è a pro­po­si­to un in­te­res­san­te stu­dio ef­fet­tua­to dal pro­get­to “Piat­ta­for­ma In­fan­zia” se­con­do il qua­le an­che i bam­bi­ni mal­trat­ta­ti , vit­ti­me di abu­si da par­te di un ge­ni­to­re vi­vo­no l’al­lon­ta­na­men­to da casa come un trau­ma mol­to gran­de, dif­fi­cil­men­te su­pe­ra­bi­le. “Chi to­glie un fi­glio ad uno o en­tram­bi i ge­ni­to­ri – si leg­ge in quel­la re­la­zio­ne – non co­no­sce o non si in­te­res­sa di fat­to­ri im­por­tan­tis­si­mi del­la psi­che di un bam­bi­no. Quan­do i giu­di­ci mi­no­ri­li ema­na­no sen­ten­ze mo­ti­van­do il bene del bam­bi­no, non cor­ri­spon­de qua­si mai alla real­tà. L’es­se­re tol­ti ai ge­ni­to­ri per i bam­bi­ni è pa­ra­go­na­bi­le ad un gra­ve lut­to, è più trau­ma­ti­co del­l’am­pu­ta­zio­ne di un arto, nes­sun trau­ma è più for­te del­l’al­lon­ta­na­men­to dai ge­ni­to­ri. Solo in pre­sen­za di una si­tua­zio­ne dav­ve­ro pro­ble­ma­ti­ca fat­ta di abu­si e mal­trat­ta­men­ti bi­so­gne­reb­be ri­cor­re­re al­l’al­lon­ta­na­men­to dal­la fa­mi­glia. Ma in quel caso, se ce ne fos­se la pos­si­bi­li­tà, do­vreb­be es­se­re por­ta­to da non­ni, zii, per­so­ne vi­ci­ne al bam­bi­no, sot­to la stret­ta sor­ve­glian­za di un tu­tor, ma non do­vreb­be cer­to an­da­re ad ar­ric­chi­re i pro­prie­ta­ri di case fa­mi­glie”. 

Già per­ché in un con­te­sto già così com­ples­so non si può cer­to tra­scu­ra­re nep­pu­re l’a­spet­to eco­no­mi­co del­la vi­cen­da. Con l’im­pen­na­ta di al­lon­ta­na­men­ti, in se­gui­to alle nuo­ve nor­me di cui ab­bia­mo par­la­to, è inu­ti­le ne­ga­re che si è svi­lup­pa­to qual­co­sa che as­so­mi­glia ad un vero e pro­prio bu­si­ness. Per­ché ogni anno sono mi­glia­ia e mi­glia­ia i mi­no­ri che ven­go al­lon­ta­na­ti dal­la pro­pria fa­mi­glia e le ret­te (pa­ga­te dal Co­mu­ne di ap­par­te­nen­za del­la fa­mi­glia del mi­no­re) sono piut­to­sto ele­va­te, da un mi­ni­no di 70 fino an­che a 130-140 euro al gior­no. Se­con­do gli ul­ti­mi dati di­spo­ni­bi­li (ri­fe­ri­ti al 2015) in Ita­lia in un anno sono sta­ti 28.449 i mi­no­ri al­lon­ta­na­ti dal­la pro­pria fa­mi­glia.

Ri­spet­to a qual­che anno fa la ten­den­za è un po’ cam­bia­ta, si cer­ca di pre­fe­ri­re l’in­se­ri­men­to in un nuo­vo nu­cleo fa­mi­lia­re (af­fi­do fa­mi­lia­re) piut­to­sto che in una co­mu­ni­tà. Ma sia­mo an­co­ra cir­ca ad un 50 e 50, qua­si la metà dei bam­bi­ni al­lon­ta­na­ti fi­ni­sco­no in un nuo­vo nu­cleo fa­mi­lia­re, men­tre un al­tro 50% (cioè ol­tre 14 mila bam­bi­ni) fi­ni­sce in co­mu­ni­tà. Con quel ge­ne­re di ret­te che de­ter­mi­na­no che ogni bam­bi­no af­fi­da­to dal­la Pro­cu­ra alla co­mu­ni­tà o casa fa­mi­glia co­sta da un mi­ni­mo di 26 mila fino ad un mas­si­mo di 50 mila euro, come det­to pa­ga­ti dal Co­mu­ne di ap­par­te­nen­ze del mi­no­re.

Il Co­mu­ne di Asco­li, ad esem­pio, il 9 feb­bra­io scor­so con de­ter­mi­na n. 124 ha stan­zia­to cir­ca 180 mila euro per pa­ga­re la ret­ta in isti­tu­to (per il pri­mo se­me­stre del 2017) per 10 mi­no­ri al­lon­ta­na­ti dal­la pro­pria fa­mi­glia. Com­ples­si­va­men­te, in­ve­ce, in Ita­lia il co­sto an­nuo per i mi­no­ri in co­mu­ni­tà è su­pe­rio­re ai 500 mi­lio­ni.  Una ci­fra im­pres­sio­nan­te che, ine­vi­ta­bil­men­te, sti­mo­la per­ples­si­tà e ri­fles­sio­ni e che spin­ge a cer­ca­re di ve­ri­fi­ca­re se e in che mi­su­ra è giu­sti­fi­ca­ta una si­mi­le spe­sa. E’ quan­to ha fat­to qual­che tem­po fa il gior­na­li­sta Rai  Ric­car­do Ia­co­na con il suo “Pre­sa di­ret­ta”, con un’in­te­ra pun­ta­ta de­di­ca­ta a que­sto fe­no­me­no, sca­te­nan­do la rea­zio­ne rab­bio­sa del CNCA, se­con­do cui que­gli ol­tre 500 mi­lio­ni non sono una spe­sa ade­gua­ta e non co­pri­reb­be­ro nep­pu­re la spe­sa me­dia di ge­stio­ne (se­con­do il CNCA ser­vi­reb­be­ro cir­ca 800 mi­lio­ni al­l’an­no).

Po­le­mi­che a par­te, non pos­sia­mo non con­di­vi­de­re la pro­vo­ca­zio­ne di Ia­co­na che ave­va pro­po­sto di de­sti­na­re que­gli ol­tre 500 mi­lio­ni al so­ste­gno alle fa­mi­glie, pro­prio per evi­ta­re che i bam­bi­ni pos­sa­no es­se­re al­lon­ta­na­ti nei casi in cui la fa­mi­glia si tro­vi in si­tua­zio­ne di dif­fi­col­tà. Sa­reb­be un pri­mo im­por­tan­te pas­so, a cui do­vreb­be se­gui­re un’im­me­dia­ta re­vi­sio­ne del­le nor­me per fare in modo che non si ri­pe­ta­no più cer­te be­stia­li­tà, che non sia la­scia­to al­l’am­pia di­scre­zio­ne di qual­che fun­zio­na­rio la de­ci­sio­ne se al­lon­ta­na­re o meno un bam­bi­no dal­la pro­pria fa­mi­glia.

In modo che i “se­que­stri di Sta­to”, che get­ta­no nel­lo scon­for­to i ge­ni­to­ri e “ru­ba­no” l’in­fan­zia a in­di­fe­si bam­bi­ni, di­ven­ti­no un’ec­ce­zio­ne, per­cor­ri­bi­le solo ed esclu­si­va­men­te in pre­sen­za di ac­cer­ta­ti abu­si e mal­trat­ta­men­ti.