Un quadro davvero preoccupante per la sanità ascolana quello emerso nel corso dell’incontro organizzato dal Coordinamento antidegrado. Mentre l’ospedale unico di vallata appare sempre più una chimera, gli ospedali di Ascoli e San Benedetto continuano ad essere depauperati. E la Regione sembra più interessata a favorire le strutture private…
“Un cittadino ascolano colpito da un ictus deve andare a San Benedetto per effettuare la trombolisi, poi ritornare ad Ascoli per fare l’angioplastica, poi tornare di nuovo a San Benedetto”. Sarebbe sufficiente la descrizione di questo incredibile paradosso, fatta dal prof. Mario Narcisi, per rendersi conto di quanto sconcertante sia la situazione della sanità nel nostro territorio.
Di questo e del futuro della sanità nel Piceno si è parlato sabato 4 marzo nell’incontro “Dall’ospedale di Vallata alla Cenerentola delle Marche” organizzato dal Coordinamento antidegrado di Ascoli Piceno (di cui fanno parte le associazioni Cittadinanzattiva, Coordinamento Volontariato Piceno, Amici della Bicicletta, Cai, Fai, Italia Nostra, Legambiente e Provincia Nova). E non c’è termine più appropriato di “degrado” per fotografare cosa sta accadendo nei due ospedali di provincia, quello di Ascoli e quello di San Benedetto che, in attesa di quell’ospedale unico di vallata che sembra essere sempre più uno “specchietto per le allodole”, di anno in anno stanno subendo un inaccettabile depauperamento.
Quando si parla di argomenti così importanti legati alla salute dei cittadini, naturalmente innanzitutto ci si aspetta la presenza del sindaco che, secondo l’ordinamento italiano, è autorità sanitaria locale e responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio. Attesa e speranza deluse, il sindaco Castelli non si è fatto vedere, così come nessuno degli assessori. E questo sicuramente qualcosa vuole dire… C’erano invece l’ex consigliere regionale Natali, l’attuale consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Giorgini e i due consiglieri comunali dello stesso Movimento Tamburri e Manni. Assenze e presenze a parte, il quadro emerso dall’incontro per la nostra sanità è a dir poco preoccupante.
Come hanno sottolineato gli stessi organizzatori (Nazzareno Galanti e Umberto Cuccioloni) nel loro intervento introduttivo iniziale, l’ospedale di vallata attualmente è una chimera, visti i costi elevati per la sua realizzazione (e il prof. Pancotti nel corso del suo intervento lo ha definito “un imbroglio intellettuale”). Nell’attesa di Godot intanto gli ospedali di Ascoli e San Benedetto vengono depauperati, con la progressiva dismissione di reparti e l’assenza di eccellenza. Come ha evidenziato il prof. Mario Narcisi “l’ospedale di San Benedetto ormai è una scatola vuota,non c’è più l’Utic, non c’è più la Terapia Intensiva, sono rimasti Chirurgia e Ostetricia, è diventato un cronicario. E farlo tornare indietro è impossibile”.
Se Sparta piange, Atene certamente non ride. “L’ospedale di Ascoli – spiega Giulio Natali – è una struttura di 6 piani e 4 ale. Dei 24 reparti possibili ne sono aperti solamente 14”. Una larga parte, quindi, non è utilizzata eppure l’Area Vasta 5 (quella che comprende Ascoli e San Benedetto) è l’unica che non ha quella gradualità di cure (oltre gli ospedali le Rsa, la lungodegenza, le Case di cura) prevista dal piano regionale sanitario. Anche quando si realizzano alcuni interventi, vengono fatti senza criterio, con una certa superficialità. “Sono state rifatte 5 sale operatorie – ha raccontato il professore Narcisi – ma 3 non funzionano a causa delle infiltrazioni Le ricovery room, invece, sono state realizzate lontano dalla sala operatoria, quindi di fatto sono inutilizzabili”.
Senza voler fare vittimismo, che la Regioni trascuri il nostro territorio è qualcosa di più di una sensazione. “Ancona ha due grandi ospedali – spiega Narcisi – Pesaro avrà l’ospedale unico, Macerata anche e Fermo presto vedrà il nuovo grande ospedale”. “Non capisco perché Radiologia internistica non si faccia ad Ascoli – aggiunge Natali – a Pesaro ci sono due primari di Radioterapia, uno con un reparto ed uno senza. Perché uno dei due non può venire ad Ascoli?”. E’ una storia che si ripete da tempo, purtroppo non solo in campo sanitario. Però è anche giusto fare un esame di coscienza, qualche volta bisogna anche recitare il “mea culpa”.
Se l’ospedale unico di vallata ora sembra sempre più una chimera, c’è stato un tempo in cui la sua realizzazione era possibile e vicina. E se abbiamo perso il treno, le responsabilità sono essenzialmente dei nostri politici, dei nostri amministratori. Era l’aprile del 2009 quando la Regione, allora guidata dal presidente Spacca, diede il via al progetto per l’istituzione dell’azienda ospedaliera “Marche nord”, con la conseguente unificazione degli ospedali San Salvatore di Pesaro e Santa Croce di Fano, e dell’azienda ospedaliera “Marche sud”, con l’unificazione degli ospedali di Ascoli e San Benedetto. Naturalmente era un progetto che prevedeva delle tappe ben definite e predeterminate (sia amministrative che tecniche).
Pochi giorni dopo l’approvazione della delibera, i vertici della sanità regionale (con l’allora dirigente Zuccatelli) scesero nel nostro territorio per incontrare tutti gli operatori sanitari di Ascoli e San Benedetto e spiegar loro il progetto. Già allora Zuccatelli sosteneva quello che sabato scorso, nel corso dell’incontro alla Rinascita, ha ribadito il prof. Narcisi. “L’unica soluzione per far compiere il salto di qualità alla sanità ascolana, per avere un ospedale delle eccellenze è la realizzazione dell’ospedale unico”. Gli stessi operatori sanitari già allora non avevano dubbi in proposito, semmai sembravano scettici sulla concreta possibilità che quel progetto venisse portato avanti.
La politica, con la visione miope e da paesotto di provincia dei nostri amministratori, non aspettò neppure un minuto per contrastare quell’iniziativa. All’epoca si era in piena campagna elettorale per le successive elezioni comunali ad Ascoli. E il giorno dopo quell’incontro tra i vertici regionali della sanità e gli operatori sanitari del territorio, prima il candidato sindaco Castelli, poi il candidato sindaco Canzian si affrettarono a sbandierare la loro assoluta contrarietà al progetto dell’ospedale unico. E in questo furono immediatamente spalleggiati dall’allora sindaco di San Benedetto Gaspari. Bisognava difendere i propri limitati orticelli, il campanilismo non poteva essere messo da parte per una visione più ampia e forse decisiva per le sorti del nostro territorio (almeno per quanto riguarda la sanità).
E i nostri miopi politici e amministratori locali non si limitarono a manifestare la propria contrarietà, nei mesi successivi mentre nel Pesarese si procedeva spediti nelle tappe per la realizzazione dell’azienda ospedaliera “Marche nord”, nell’Ascolano tra Ascoli e San Benedetto si litigava per tutto, per ogni possibile passaggio. A settembre, visto che Pesaro e Fano avevano rispettato tutto l’iter previsto, fu approvata la legge regionale che ufficialmente istituiva l’azienda ospedaliera “Marche nord”. Se le cose fossero andate allo stesso modo anche nel nostro territorio, quella legge avrebbe ufficialmente istituito l’azienda ospedaliera “Marche sud” e magari ora staremmo a raccontare un’altra storia.
Che Ancona e Pesaro monopolizzino l’attenzione dei vertici regionali è oggettivamente un dato fatto. Ma che la miopia e l’insussistenza dei nostri politici e amministratori locali facilitino e in qualche modo amplifichino questa situazione è altrettanto incontestabile. “L’interesse per la sanità dei nostri amministratori e politici finisce il giorno dopo le elezioni, parlare di sanità una volta ogni 2 mesi è una “marchetta” “ afferma Giulio Natali. Che, poi, racconta un episodio per certi versi significativo. “A fine 2013 chiesi all’amministrazione comunale l’istituzione della commissione sanità , l’allora segretario generale sollevò non poche obiezioni. Di fatto quella commissione non è mai stata istituita”.
A rendere il quadro ancor più inquietante è la netta impressione (supportata anche da fatti concreti) che la politica sanitaria regionale sia più rivolta a favorire e sviluppare la sanità e le strutture private piuttosto che quelle pubbliche. “Noi abbiamo chiuso gli ospedali pubblici, Pesaro li ha svuotati per farci entrare i privati – ha affermato il prof. Narcisi – la mobilità attiva (pazienti da altre regione che scelgono strutture sanitarie marchigiane) si indirizza soprattutto verso le case di cura private”. “La mobilità attiva dall’Abruzzo verso l’Area Vasta 5 si indirizza soprattutto verso la costa, verso le strutture private di San Benedetto” aggiunge il prof. Pancotti.
Durissime, a tal proposito, sono le accuse lanciate dall’ex consigliere regionale Natali, sia verso i vertici politici regionali, sia verso il dirigente dell’Area Vasta 5 Capocasa. “Secondo la Capocasa la mobilità attiva è un problema – accusa – ma tutta la politica regionale è volta a favorire il privato rispetto al pubblico. Nell’Area Vasta 1 (Pesaro) la mobilità passiva è creata ad hoc, poi basta vedere a che strutture private dell’Emilia Romagna si rivolgono i pesaresi per capire. Nell’Area Vasta 5 la mobilità attiva porta oltre 20 milioni di euro, eppure per la Capocasa rappresenta un problema. D’altre parte, però, non c’è da stupirsi, non dobbiamo dimenticare che l’Aiop (Associazione italiana spedalità privata) ha finanziato la campagna elettorale di Ceriscioli e Spacca. E l’attuale presidente della Regione, guarda il caso, ha mantenuto per se la delega per la sanità”.
Le accuse di Natali sono sicuramente molto dure. Certo è che i dati forniti dall’Agenzia regionale sanitaria (riferiti al 2015) riguardo la mobilità attiva in qualche modo sembrano avvalorare questa visione. Infatti nel 2015 sono stati poco più di 23 mila i pazienti che da altre regioni hanno scelto le strutture sanitarie marchigiane, con il 45% di loro che ha optato per strutture private. Un dato che nel nostro territorio assume proporzioni sconcertanti. Degli 8.625 pazienti di fuori regione che hanno scelto le strutture sanitarie dell’Area Vasta 5 (5.771 a San Benedetto, 2.854 ad Ascoli), ben 6.205 di loro (il 72%) hanno optato per strutture private (2.945 Villa Anna, 1.608 Stella Maris, 1.432 Clinica San Marco, 220 Villa San Giuseppe).
Tradotto in soldi significa che dei quasi 26 milioni di euro che la mobilità attiva ha prodotto per l’Area Vasta 5, appena 7 milioni di euro sono finiti nelle casse pubbliche, mentre circa 19 milioni di euro sono finiti alle strutture private.
“L’unica soluzione per la nostra sanità è l’ospedale unico di vallata – ha sentenziato il prof. Narcisi nel corso del suo intervento – se economicamente la sua realizzazione non è possibile allora si faccia l’ospedale unico su due sedi. L’equa distribuzione dei servizi è una bestemmia, in sanità bisogna concentrare”. La politica sanitaria regionale per il nostro territorio, però, sembra andare in tutt’altra direzione. Per questo è importante che ci si mobiliti, che si mantenga alta l’attenzione.
In tal senso va dato merito al Coordinamento antidegrado di aver acceso i fari sulla difficile situazione che sta vivendo, anche in campo sanitario, il nostro territorio. Servono assolutamente appuntamenti e incontri come questi, così come servirebbero anche amministratori e politici locali realmente attenti e pronti a portare concretamente avanti le istanze del nostro territorio. Ma da quest’ultimo punto di vista non siamo messi particolarmente bene…