Una città in ginocchio
Centinaia di famiglie “sfollate”, 2 mila cittadini da sistemare (e ancora oltre 8 mila sopralluoghi da effettuare), scuole ed edifici pubblici a rischio, crolli e lesioni in tutti i quartieri, centro al collasso, attività commerciali in ginocchio. Anche sindaco e assessori costretti ad ammettere la drammatica situazione di una città già “precaria”, a cui terremoto e neve hanno dato il “colpo di grazia”
E’ finito il tempo dei proclami e degli slogan rassicuranti alla Rambo. “Noi ascolani siamo gente tosta, non ci fa paura nulla”, “Non molliamo di un centrimetro”, “Niente paura, alla fine vinciamo noi”. Quanti ne abbiamo letti di slogan del genere in questi mesi sui profili facebook dei nostri amministratori, dopo che nella primissima fase successiva al primo terremoto si era cercato (soprattutto da parte del sindaco) di far passare il messaggio rassicurante che il sisma non aveva provocato problemi particolari al capoluogo piceno. Poi, a mano a mano che emergeva la reale situazione della città, colpita duramente e in difficoltà, ecco che quegli slogan ripetuti insistentemente volevano essere un segnale di ottimismo, un modo per spronare gli ascolani a guardare avanti con fiducia, pur se colpiti e scossi dal sisma. Con il passare del tempo, la situazione ha assunto contorni sempre più inquietanti, si è capito che la città era stata ferita molto più profondamente di quanto si pensasse.
L’incubo terremoto, poi, sembrava non abbandonarci mai, rendendo tutto inevitabilmente più complicato. Nel periodo natalizio, per la verità, sembrava che finalmente si potesse pian piano provare a ripartire, pur se a fatica e molto lentamente. Poi è arrivata anche l’emergenza neve, è tornato di nuovo il terremoto e la situazione è nuovamente precipitata. Al punto che ora anche i post dei nostri amministratori non sono più (e d’altra parte non potrebbero esserlo) così rassicuranti, così improntati ad un immotivato ottimismo. C’è, di fatto, l’ammissione della gravità della situazione e la costante e continua ricerca di aiuto rivolta alle istituzioni centrali, alla Regione, allo Stato, all’Europa. E non si tratta certo di aver “mollato”, è una semplice quanto inevitabile presa di coscienza (sia pure con un certo ritardo) della drammaticità della situazione.
E’ inutile negarlo e sarebbe sciocco non ammetterlo, Ascoli è una città in ginocchio, colpita duramente anche se non ancora affondata definitivamente, nelle stesse condizioni di un pugile contato in piedi sul ring che cerca di resistere ma rischia di finire ko da un momento all’altro. E’ una città profondamente ferita sotto ogni punto di vista, che ha subito gravi lesioni e crolli tra terremoto e neve, che ha quello che una volta era il cuore pulsante (il centro cittadino) ormai moribondo e con prospettive future sempre più nere, con quasi tutti i quartieri cittadini che non stanno certo molto meglio. Per non parlare dei problemi delle infrastrutture, delle scuole e del tessuto commerciale cittadino, ormai allo stremo e sull’orlo di capitolare definitivamente.
I freddi numeri, i dati che ci arrivano dal Comune forniscono solo un quadro parziale, sia pure già abbastanza eloquente, di quella che è la situazione. Centinaia di abitazioni inagibili, circa 700 famiglie sfollate per complessivamente 2 mila persone a cui si è reso necessario garantire una sistemazione provvisorio. Il tutto con appena 1.500 sopralluoghi effettuati e con oltre 8 mila ancora da farne. E’ sin troppo evidente che quanto tutti i sopralluoghi saranno terminati (già, ma quando?) i numeri potrebbero essere clamorosi. Considerando il trend attuale alla fine potrebbero essere circa 3 mila le famiglie sfollate, con 8-9 mila persone da sistemare. C’è poi il lungo elenco delle strutture pubbliche più o meno lesionate. Partendo dalle scuole, tre sono state dichiarate inagibili e, di fatto, chiuse (compresa la nuova scuola di Monticelli), mentre una decina sono state dichiarate agibili ma con interventi da effettuare (sempre in attesa che le ormai famosissime analisi di vulnerabilità sismica ci dicano se e in che misura sono realmente sicure).
Lesionati tutti gli edifici simbolo della città, da Palazzo dei Capitani, al palazzo comunale, per non parlare della torre Merli, la chiesa di San Francesco, il Duomo tutt’ora chiuso e inaccessibile per gli interventi di messa in sicurezza da effettuare. Chiuse ed inutilizzabili le chiese del Sacro Cuore, del SS. Crocifisso a Porta Romana, la chiesa di S. Maria della carità (la Scopa). Dichiarata inagibile la Casa del clero e temporaneamente inagibile l’episcopio. Solo da pochi giorni è stata riaperta la Biblioteca comunale, anch’essa danneggiata dal terremoto. Duramente colpiti anche diversi quartieri cittadini, in particolare la Piazzarola, tra i crolli della chiesa di Porta Cartara e i problemi a Sant’Angelo Magno. Non meno complicata la situazione a Campo Parignano dove è fortemente a rischio (ma lo era già) tutta la zona dietro il ponte di Santa Chiara. Colpita duramente anche Monticelli, tra alcuni grattacieli che sono stati fatti evacuare, una strada franata e danni anche al palazzetto del quartiere.
Addirittura drammatica la situazione del centro cittadino, non tanto e non solo per quanto riguarda strutture e palazzi inagibili, quanto per la conseguente desertificazione e i gravi problemi che ciò sta provocando al tessuto commerciale, ormai allo stremo. “Si sta creando una nuova condizione di vita. Dal 24 agosto sono passati più di cinque mesi. E siamo messi peggio di allora” scrive il sindaco Castelli sull’Huffington Post in un lungo intervento nel quale chiede disperatamente aiuto, appellandosi allo “Stato italiano e alle Autorità europee” Certo 6 lunghi mesi di emergenza hanno inevitabilmente lasciato il segno, il terremoto praticamente continuo ha fatto danni (non solo materiali) incalcolabili e, poi, ci si è aggiunta anche la neve e una situazione meteo mai vissuta prima (almeno negli ultimi decenni).
Però è innegabile che tutte queste “sciagure” si sono innestate in una situazione già sotto diversi aspetti traballante. Ascoli era una città “precaria”, sotto ogni punto di vista, già prima del 24 agosto. Chi ha un po’ di memoria ricorderà come già a fine anni ’90 e nei primi anni del 2000 diverse associazioni culturali cittadine parlavano dello stato di abbandono del patrimonio architettonico-monumentale cittadino, compresi alcuni degli edifici simbolo della città. E già dopo il terremoto del 1997 qualcuno aveva lanciato l’allarme sulla tenuta di quelle strutture in caso di terremoto forte nelle nostre zone, invocando interventi concreti atti a prevenire e scongiurare questa eventualità. Per anni questi appelli, queste invocazioni sono stati puntualmente derisi, bollati come “inutile allarmismo”. Stesso discorso vale per le scuole, senza tanti giri di parole è innegabile che da sempre il problema della loro sicurezza è stato completamente ignorato, solo qualche raro intervento e praticamente nessuna attenzione per il problema della sicurezza sismica delle strutture.
Probabilmente si è sempre pensato che il terremoto non avrebbe mai realmente colpito la nostra città, che al massimo ci avrebbe solo sfiorato. E, in effetti, in realtà il terremoto ci ha colpito solo di riflesso, non certo direttamente. Eppure è bastato per provocare danni notevoli, è meglio non pensare neppure cosa sarebbe potuto accadere se davvero la nostra città fosse stata colpita direttamente. Intanto, però, le conseguenze per il cuore della città rischiano di essere ancor più drammatiche. Infatti se verranno concretamente attuate le prescrizioni previste dall’Ufficio ricostruzione, c’è il concreto rischio che la città subisca un vero e proprio stravolgimento. Infatti in assenza di adeguamento sismico tutte le scuole che attualmente sono nel centro cittadino rischiano di essere trasferite altrove.
Stessa sorte per alcuni palazzi storici del centro (da Palazzo dei Capitani a Palazzo Arengo e Palazzo San Filippo), anch’essi inutilizzabili (ancor più con funzioni pubbliche) non potendo effettuare l’adeguamento sismico. Se così sarà quei palazzi rischiano di diventare dei contenitori vuoti, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Soprattutto, però, una simile eventualità probabilmente darebbe il colpo di grazia al centro cittadino e alle attività commerciali lì presenti, già ora sull’orlo del ko. Un centro che già ora come si fa buio assume un carattere quasi spettrale, con pochissime persone in giro e quell’assurda illuminazione che contribuisce a rendere ancora più funereo il clima. Se per qualche ragione vi capita di essere ancora in giro per il centro cittadino, in un qualsiasi giorno della settimana, dopo le 22 (in realtà anche prima non che la situazione sia molto migliore…) lo scenario è a dir poco desolante.
Quasi nessuno in giro, pochissime persone nei locali (che si popolano un po’ solo nel fine settimana), addirittura giovedì scorso (26 gennaio) intorno alle 22:30 passeggiando tra piazza Arringo, piazza del Popolo e fino a piazza Ventidio Basso in tutto abbiamo incontrato solamente 3 persone (e nei locali non che ce ne fossero molti di più). Il centro e le sue attività commerciali sono al collasso e le prospettive, se davvero si dovessero realizzare le ipotesi sopra citate, sono a dir poco funeste. Tutta colpa del terremoto? Assolutamente no, il sisma ha reso drammatica una situazione già difficile. Qualcuno forse si è illuso che poteva bastare qualche manifestazione d’estate, qualche evento in più rispetto al nulla o quasi degli anni precedenti per rivitalizzare un centro svuotato e messo in ginocchio da anni di scelte politiche sballate?
Certo non sarebbe giusto negare che negli ultimi anni qualcosa in più è stato fatto, quanto meno a livello di arredo. Ma serviva e servirebbe ben altro per rivitalizzare e ravvivare un centro vittima per anni di scelte politiche ben precise che (per chissà quale motivo…) hanno sempre più mirato a delocalizzare verso la periferia, verso altre zone. Scelte che , in realtà, ancora ora vanno in questa direzione, basterebbe pensare alla vicenda della nuova farmacia comunale che verrà aperta al centro commerciale Al Battente. Non solo, qualcuno si è chiesto per quale motivo si è scelto di far aprire strutture come Mc Donald e Burger King sempre nella zona del centro commerciale e non, come si auspicavano in molti, in centro? Certo poi terremoto e emergenza neve hanno dato la “mazzata finale”, però non sarebbe serio credere che i problemi del centro cittadino nascano esclusivamente da questi due gravi eventi. Così come non sarebbe serio pensarlo anche per altre circostanze. Parliamo, ad esempio, della situazione a Campo Parignano nella zona dietro al ponte di Santa Chiara. Che quella sia una zona a rischio non si scopre certo ora, la possibilità di frane è paventata da anni.
Chiaro che terremoto e neve non possono che aver peggiorato la situazione, ma l’interrogativo è sempre lo stesso, perché non si è fatto nulla prima? E vogliamo parlare della situazione a Monticelli? Che la zona e la strada di via delle Begonie, dove nei giorni dell’emergenza neve è franato un pezzo di strada (foto a sinistra), fosse a rischio frane non è certo una novità. Già in altri tratti della strada stessa, negli anni passati, si erano verificati smottamenti, sia pure non di quella entità. Cosa è stato fatto in tutti questi anni per cercare di prevenire e sanare la situazione? Stessa situazione per la circonvallazione sopra lo stadio, qualcuno può legittimamente stupirsi per la recente frana? O per lo stato sempre più disastrato della strada e della zona?
Siamo sempre al solito discorso della mancanza di programmazione, del modo superficiale di spendere milioni e milioni di euro, per situazioni e strutture oggettivamente non prioritarie, che potevano invece essere investiti per rendere meno vulnerabile la città, per renderla meno esposta a questi rischi. Non solo, ancor più ora che la situazione è così difficile (come ammettono gli stessi amministratori) ci si rende conto di quanto sbagliate siano state certe scelte fatte in passato e nei mesi scorsi, di come si riveli ora un grave handicap aver lasciato in mano ai privati importanti servizi cittadini. In particolare, nell’ottica dei problemi del centro cittadino, appare evidentemente disastrosa le scelta (di vecchia data ma volutamente non messa in discussione dagli attuali amministratori) di lasciare al privato tutta la gestione della sosta cittadina, così come quella (più recente e frutto della decisione dell’attuale amministrazione) relativa all’illuminazione pubblica.
Con il centro cittadino nella condizione attuale e con le attività commerciali del centro stesso sull’orlo del collasso, un Comune che aveva la piena gestione della sosta cittadina avrebbe potuto pensare e mettere in atto iniziative concrete e molto importanti per cercare di incentivare le persone a tornare a frequentare il centro cittadino. Invece ora ci si deve accontentare delle briciole, delle riduzioni per la lunga sosta che poco o nulla spostano. Stesso discorso per quanto riguarda l’illuminazione pubblica, si poteva e si doveva pensare a rendere meno lugubre la città e, soprattutto, il centro cittadino, magari si poteva pensare a diversi orari di accensione e spegnimento (ma se con il privato appena 15 minuti in più costano ben 50 mila euro è impossibile anche solo pensare a questo genere di soluzione…). Invece nulla, l’amministrazione comunale non è più padrona di decidere e, anzi, sembra quasi che in questa situazione si faccia di tutto per rendere la città ancora più tenebra e triste, come dimostra la foto qui a destra scattata questa mattina in via Napoli.
“Lunedì il Capo dello Stato ha voluto dire a voce alta che comprende il dramma dei Comuni. Ma c’è bisogno di fare un passo in più – scrive il sindaco nel suo intervento sull’Huffington Post – nei giorni scorsi ho invocato la presenza dell’Esercito nei nostri territori, non per tamponare questa doppia emergenza ma per mettere i nostri Paesi nella condizione di “vivere nell’emergenza”, tornando ad agire, a lavorare, a produrre. A vivere. Ma nell’emergenza. Non si può fare da soli quando il disagio – è un eufemismo che solo chi ha visto in faccia i miei concittadini e quelli delle centinaia di Comuni travolti dal caos sismico e meteorologico – diventa così lungo. L’Esercito è una forma di supporto necessario che lo Stato deve a questo territorio, a questa gente. A queste imprese. Non è solo lo Stato italiano che deve farsi carico di questa nuova condizione di vita: l’Europa, se esiste, deve assumersi responsabilità di fronte alle necessità di questi suoi cittadini, piegati e piagati da queste tragedie. Non si tratta di fare a gara con i disagi dei migranti, ma i nostri concittadini sono nelle stesse condizioni di chi non ha più casa, non ha più lavoro, non ha più vita. Solo paura e disperazione.
La stessa condizione che fa muovere centinaia di migliaia di persone dai propri Paesi di origine per cercare un futuro.I nostri cittadini non vogliono migrare. Vogliono tornare a vivere. Ma il cataclisma – sismico e meteorologico – che li ha travolti li rende bisognosi di tutto. Lo Stato italiano e le Autorità europee devono farsi carico di risposte “lunghe”. Senza trincerarsi dietro la parola “emergenza”. Non è più un’emergenza. È una nuova condizione di vita che ha bisogno di nuove forme di sostegno. Qui c’è bisogno di rifare tutto. Come dopo una guerra. Come durante una guerra che non sappiamo quando e come finirà. C’è bisogno di una zona franca, a fiscalità più che alleggerita. Il territorio del cratere deve essere una zona d’Italia e d’Europa dove è vantaggioso investire in infrastrutture (fisiche e tecnologiche), in attività economiche e commerciali, in obiettivi turistici e culturali. Una zona franca per far rinascere nell’emergenza una speranza di vita vera. Tocca a Roma e a Bruxelles giocare una carta di credibilità. Per tutti”.
Ha ragione il sindaco, sottoscriviamo in pieno la sua (pur tardiva) ammissione della grave difficoltà che sta vivendo la nostra città, così come la richiesta di aiuto rivolta allo Stato e all’Europa (non sappiamo quanto ora possa essere utile la presenza dell’Esercito ma sarebbe una discussione futile e non costruttiva). Così come ha pienamente ragione l’assessore Brugni quando, su facebook, chiama tutti a raccolta, ad unirsi in questo momento di così grave difficoltà. E’ giusto così, sarebbe stato meglio che ci fosse stata prima questa presa di coscienza dell’entità della situazione ma ormai è inutile pensarci.
Però se davvero si vuole invocare quell’unità di intenti, quell’agire comune, è bene che a dare l’esempio sia innanzitutto l’amministrazione comunale stessa. Che per una volta dovrebbe essere così umile e trasparente da far conoscere ai cittadini ascolani il reale stato delle finanze comunali, spiegando per quale ragione, oltre al necessario e indispensabile aiuto che deve venire dallo Stato e dall’Europa, non può essere il Comune stesso a mettere in campo iniziative e fondi per affrontare e tentare di superare l’emergenza. E’ giusto che gli ascolani sappiano, ad esempio, perché fino ad ora l’amministrazione comunale non ha potuto (non crediamo che non abbia voluto) azzerare tutte le tasse comunali che gravano sui commercianti, dando così un piccolo ma significativo aiuto a chi, come abbiamo visto, è praticamente al collasso.
Così come è giusto che venga spiegato seriamente per quale ragione non si possono utilizzare per interventi nelle scuole e nelle strutture pubbliche a rischio gli oltre 12 milioni di euro che il Comune incasserà (metà di quei fondi a breve) dalla vendita di Piceno Gas, perché quei fondi (almeno buona parte della prima metà) servono per dare ossigeno alle casse comunali (lo hanno ammesso prima l’assessore al bilancio poi, nell’ultimo Consiglio comunale, anche il sindaco) , come si è creata questa difficile situazione finanziaria per le casse comunali stesse, in che modo e per quali obiettivi sono stati spesi in questi anni tanti milioni di euro, visto che nulla o quasi nulla è stato investito in prevenzione .
In altre parole una franca ammissione di responsabilità, una seria e trasparente fotografia della situazione reale in cui versa l’amministrazione comunale, con i suoi limiti, i suoi pregi e i suoi difetti, per poter essere non solo uniti nella richiesta di aiuto ma anche pienamente consapevoli delle difficoltà e degli sforzi che si dovranno fare per cercare di ripartire.